Ripercorriamo l’assalto di Pearl Harbor, tra l’aggressione della Marina Imperiale giapponese ai danni delle installazioni americane e la conseguente entrata in guerra degli USA.
La storia del mondo è fatta di momenti, momenti che per una commistione di fattori, finiscono col diventare centrali nella narrazione di certe vicende. Quando si pensa alla Seconda Guerra Mondiale per esempio, vengono in mente sicuramente dei passaggi chiave, dei personaggi che l’hanno portata avanti. Se è vero che molto spesso si tende a ricordare più gli eventi avvenuti in territorio europeo, è necessario parlare di un evento che portò a conseguenze inimmaginabili: l’attacco di Pearl Harbor.
L’attacco di Pearl Harbor, nome in codice: Operazione Z, noto anche come Operazione Hawaii, fu quello condotto nel 1941 da una flotta di portaerei, corazzate, incrociatori e altre navi della Marina Imperiale giapponese ai danni della United States Pacific Fleet e delle installazioni militari a Pearl Harbor, sull’isola hawaiiana di Oahu. Ripercorriamo i motivi e le conseguenze di quel fatto.
Il 7 dicembre del 1941, quando non si pensava che potesse succedere qualcosa di ancora più sconvolgente, il mondo si ferma. Il Giappone, con un attacco a sorpresa agli statunitensi che si trovavano a Pearl Harbor, mette in moto dei meccanismi che porteranno a un’escalation del conflitto mondiale, verso lidi che fino a quel momento, non erano stati direttamente coinvolti.
Nonostante infatti, con questo attacco, si parli di Guerra del Pacifico, questa non può prescindere dalla Seconda Guerra Mondiale: il Giappone, che nel 1931 aveva iniziato una serie di campagne colonialiste culminate col violento attacco alla Cina del 1937, aveva visto nella Germania nazista e nell’Italia fascista, due perfette alleate per poter portare avanti i suoi piani. Per questo motivo, l’attacco agli USA, comportò che questi non solo entrassero in conflitto coi giapponesi, ma con l’intero Asse Roma-Berlino-Tokyo.
Il presidente americano Franklin Delano Roosvelt, definì quel 7 dicembre 1941 “Day of infamy“, a causa del modus operandi giapponese, che sorprese gli americani senza nemmeno inoltrare la dichiarazione di guerra. L’attacco fu guidato dall’ammiraglio Isoroku Yamamoto che, conscio della superiorità di strumenti degli Stati Uniti in un conflitto prolungato, puntava a un attacco lampo, in parte riuscito dato che i danni alla flotta americana furono considerevoli.
Gli interessi a limitare l’espansionismo del Giappone erano tanti, sia da parte americana che inglese, dato che la Cina era in quel momento, un grande alleato commerciale che non poteva essere lasciato alla mercé dell’Asse. È dunque questo il momento in cui il conflitto diventa effettivamente “mondiale”, con Inghilterra e USA che dichiarano guerra al Giappone e, di conseguenza, a Germania e Italia. L’attacco a Pearl Harbor, significherà per il Giappone, il momentaneo controllo sul Pacifico, portando il paese a un’espansione coloniale in altri paesi limitrofi. La fine del conflitto, com’è ben noto, si avrà nel 1945, quando gli USA sganceranno le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, portando l’imperatore Hirohito alla resa, il 2 settembre dello stesso anno e segnando la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Inizierà così il processo di decolonizzazione in Giappone, che venne riportata ai confini del 1894 e cambiò forma di Governo, passando dall’Impero alla Monarchia Costituzionale.
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